Universi simulati

Seguendo l’attuale tendenza secondo cui il cinema d’oltre oceano sia in grado di produrre esclusivamente remake di grandi pellicole del passato, leggo che un quarto capitolo della saga di Matrix è stato ufficialmente confermato.

Matrix, in particolare il primo dei tre, è stato straordinariamente grande un po’ perché ha avuto l’ardire di raccontare la fantascienza associandola a particolari segmenti di cultura e arte popolari, un po’ perché l’ha fatto introducendo al pubblico un concetto nuovo, forse stravagante, certamente inquietante, ponendoci una precisa domanda: e se fossimo tutti parte di una simulazione?

Come The Sims? Beh, sì. Anzi, meglio di The Sims. Matrix non simulava solo un soggiorno con area cottura, ma rappresentava una simulazione su scala planetaria, galattica, universale, che tenesse in considerazione il tutto.

Ora, siccome questo blog vorrei fosse anche un po’ un archivio di documenti che preferirei non smarrire, cosa che mi riesce particolarmente congeniale, riporto in questa sede il lavoro di un tipo, Nick Bostrom, di mestiere filosofo, che la domanda se l’è posta per davvero e l’ha affrontata con la serietà che si dedica ai grandi temi della conoscenza.

Ammettendo, cosa tutt’altro che scontata, di non distruggerci prima, cosa accadrebbe se la nostra potenza tecnologica crescesse a tal punto da consentire la creazione di una simulazione dettagliata quanto la nostra realtà? Sapremmo veramente trattenerci dal tirare su una macchina virtuale e curiosare dentro per vedere, chessò, quante volte su cento simulazioni l’esercito di Sparta tenga effettivamente testa a quello persiano?

Bene, Bostrom conclude che, delle tre seguenti opzioni, almeno una deve essere vera:

  1. L’umanità si autodistruggerà molto prima di raggiungere uno stadio di sviluppo tecnologico che consenta la creazione di simulazioni…
  2. … oppure l’umanità arriverà sì ad essere in grado di creare simulazioni, ma semplicemente sceglierà di non farlo o di non crearne un numero significante…
  3. … oppure è praticamente certo che siamo, oggi, parte di una di quelle simulazioni.

Il ragionamento non fa una grinza. Pure Elon Musk, che sembra avere un’opinione educata su quasi tutto, è d’accordo su come sia non solo possibile, ma anche probabile che noi siamo attualmente parte di un software che gira da qualche parte.

George Smoot, Nobel per la fisica, asserisce che l’umanità potrebbe, un giorno, essere anche in grado di provare la propria appartenenza ad una simulazione.

Recentemente, ha ripreso l’argomento anche il New York Times in un articolo. Il pezzo, tuttavia, scoraggia l’idea di un’indagine volta a dimostrare la nostra essenza cibernetica, dato che l’ipotetica simulazione potrebbe essere spenta qualora i soggetti al suo interno ne scoprissero l’esistenza.

Non è poi così pazzesca come pensata; anche un trial clinico verrebbe annullato qualora il paziente venisse a conoscenza di stare ricevendo il farmaco o il placebo.

Detto questo, Matrix, che a questo punto spero concorderete con me essere molto più di un semplice film di fantascienza, ci viene ancora una volta incontro.

Nel tentativo di spiegare Matrix a Neo, Morpheus dice che, in fondo, ogni contatto tra noi e il mondo esterno è riconducibile ad un impulso elettrico interpretato dal cervello.

Cambia forse qualcosa sapere se quell’impulso è proveniente dal mondo naturale vero, qualsiasi cosa ciò voglia dire, o da un sistema computazionale?

In astratto, sì. Ma, essendo sempre stati all’oscuro della vera natura del nostro universo, arriveremmo anche a ritenere meno autentica la nostra esistenza? Credo di no.